La pace fra Israele e Palestina è
possibile, soprattutto se continuerà ad
essere alimentata dalla tenace volontà
delle gente comune e se le sue ragioni
non saranno più costrette a fare
quotidianamente i conti con la
sostanziale indifferenza di buona parte
del mondo. Queste importanti,
significative considerazioni non
arrivano da uomini politici di una delle
zone più martoriate del Medioriente, non
sono auspici di organizzazioni
internazionali. Sono le semplici
constatazioni dei ragazzi e delle
ragazze del Teatro dell’Arcobaleno, una
realtà nata qualche anno fa in Galilea
per iniziativa di Angelica Calò Livnè.
Nata a Roma da una antica famiglia di
origini ebraica Angelica Calò si
trasferì in Israele una ventina di anni
fa al seguito di un movimento sionista.
Qui ha piantato le sue radici sposandosi,
mettendo al mondo quattro figli maschi e
venendo a contatto in prima persona con
il dramma di una guerra senza fine, una
guerra fratricida…
Nel 2002, anno in
cui la seconda intifada segna il punto
più alto della sua ferocia, anno in cui
si fanno più dure le reazioni di Israele,
anno in cui comincia a prendere corpo il
nuovo muro progettato da Sharon, anno in
cui sembrano avviarsi definitivamente al
tramonto le speranze di pace del
decennio precedente, anno in cui una
ragazza (che poi farà entrerà a far
parte della compagnia) è testimone del
tragico attentato di Mombasa in cui
perdono la vita moltissimi ebrei in
vacanza, Angelica Calò Livnè, che vive
nel kibbutz Sasa (in Alta Galilea)
progetta la creazione di un gruppo
teatrale capace di tenere insieme
giovani ebrei, musulmani, cristiani
provenienti dalla Galilea, un gruppo che
aiuti, grazie al linguaggio universale
dell’arte a superare divisioni grandi e
piccole che, tutte insieme, rendono
“ostaggi” tanto i palestinesi quanto gli
ebrei…
Nasce così il
Teatro dell’Arcobaleno, figlio anche di
una intuizione di un cuore di madre.
“Quando mi sono dovuta confrontare con
la partenza di due dei miei quattro
figli per il servizio militare
nell’esercito israeliano – confida
Angelica Calò Livnè – e anche con la
tragica prospettiva di un loro eventuale
sacrificio, mi sono posta realmente il
problema di come poter superare questa
guerra tragica”. Una riflessione che la
regista del gruppo teatrale ha condiviso
con Samar Sahhar, di Betania, in
Palestina che sin dalla nascita, grazie
all’impegno della sua famiglia, ha
condiviso e cercato di migliorare le
condizioni di vita di tanti bambini e
bambine palestinesi. L’amicizia che lega
le due donne e la comune idea che le
divisioni tra palestinesi ed ebrei si
possano superare anche grazie a tanti
piccoli passi, conducono alla nascita
del Teatro dell’Arcobaleno. Una ventina
di ragazzi iniziano a frequentarsi,
riescono ben presto a vincere le
naturali diffidenze, frutto di decenni
di “sovrastrutture culturali”. Giorno
per giorno, mentre cresce questa
frequentazione e con essa l’amicizia, si
confrontano anche sui numerosi episodi
di violenza che quotidianamente segnano
la loro terra. Esprimono ad alta voce le
loro paure, i loro disagi, le loro
attese, le loro speranze. Angelica Calò
Livnè annota con pazienza tutte queste
reazioni e alla fine ne ricava lo
spettacolo “Bereshit – In principio,
Figli di un solo Padre” che, sin dal suo
debutto, ha conosciuto una intensa
tournè internazionale. Grazie a questo
semplice spettacolo (che segue la scia
di molte altre iniziative analoghe) il
mondo che vive al di fuori degli stretti
confini di Israele e Palestina sta
prendendo iniziando a conoscere che
oltre le posizioni dei politici di quei
Paesi c’è della gente normale che cerca
di perseguire la pace ogni giorno, nel
quotidiano e che non vuole più misurarsi
con la morte e la paura…
Nei giorni
scorsi, su iniziativa della Consulta
provinciale degli studenti e del centro
culturale Città Europa della Compagnia
delle Opere, lo spettacolo ha fatto
tappa a Brescia. Per gli oltre
trecentocinquanta studenti presenti al
Teatro Pavoni la messa in scena di
“Bereshit – In principio, Figli di un
solo Padre”, è stata una lezione
efficace, non solo di carattere storico/politico
ma anche da quello umano.
Perché se è
vero che pregiudizi, artifizi culturali
e tante altre maschere che l’uomo
indossa, limitano, costringono genti e
popoli a vivere conflitti di cui non
comprendono le ragioni, è altrettanto
vero che anche da noi luoghi comuni e
stereotipi condizionano la vita di
giovani e meno giovani, spesse volte
distogliendo il loro cuore e la loro
mente da quelli che sono problemi reali.
Con
straordinaria efficacia Angelica Calò
Livnè e i suoi ragazzi hanno presentato
al pubblico bresciano le loro sofferenze,
le loro paure, la loro lotta quotidiana
contro “maschere” che, ancora oggi,
tenacemente cercano di alimentare
divisioni e odii… Con altrettanta
efficacia hanno però dimostrato ai
coetanei bresciani che sperare è
possibile, anzi è un dovere a Brescia
come in Galilea dove, ancora oggi, i
protagonisti dello spettacolo oltre a
vivere i loro problemi di adolescenti
devono, a differenza dei giovani
bresciani, misurarsi con una guerra che
ad ogni risveglio non garantisce loro la
speranza di poter far ritorno la sera a
casa dopo una giornata trascorsa a
scuola o sul posto di lavoro…